Francesco Paolo Micozzi,
avvocato del Foro di Cagliari, si occupa di diritto penale, diritto dell’informatica e delle nuove tecnologie. Membro del consiglio direttivo del Circolo dei Giuristi Telematici e del comitato esecutivo dell’Istituto per le Politiche dell’Innovazione, é coautore, insieme ai colleghi M. Cuniberti e G.B. Gallus, del testo recentemente pubblicato per i tipi della Giappichelli dal titolo “I nuovi reati informatici”.
A lui rivolgiamo un’intervista allo scopo di ottenere un chiarimento tecnico-legale in merito alla nuova proposta di legge: la ddl Carlucci, che in questo periodo sta facendo tanto discutere dentro e fuori la rete.
Il problema della pedofilia è un fatto grave che va sicuramente affrontato, ma è giusto dare la colpa solo ad internet ed alla rete?
E’ difficile parlare di pedopornografia. E’ difficile perché è un argomento che offre molti spunti demagogici. Non c’è bisogno di dichiararsi apertamente contrari alla pedopornografia. Tutte le persone sane di mente sono contrarie alla pedopornografia o alla pedofilia in genere. Il problema è un altro. Il vero problema si crea quando si introduce la parola “pedopornografia” in un discorso che niente ha a che vedere con essa, ma viene unicamente utilizzato come “ariete”. In tal modo si convince l’interlocutore della bontà di introdurre “qualcos’altro”(qualunque cosa esso sia) purché sia contrario alla pedofilia!
Occorre prestare un minimo d’attenzione al testo del ddl “Carlucci” per comprendere, realmente, quale sia la sua intima essenza. Nel testo non si parla dei reati di pedofilia o pedopornografia, vi è unicamente il riferimento (art. 2, primo comma) ad un divieto di “effettuare o agevolare l’immissione nella rete di contenuti in maniera anonima”. Ritengo che, ai fini interpretativi, sia un interessante punto di partenza ciò che lo stesso on. Carlucci dichiara sul suo blog. Sostiene l’onorevole: “Non possiamo continuare a permettere che orchi travestiti da agnellini, sfruttando l’anonimato assicurato dalla rete, utilizzino Internet per adescare giovani prede. Il caso del professionista di una cittadina vicino Napoli, arrestato ieri con l’accusa di aver adescato una minorenne offrendo false generalità e fingendosi suo coetaneo, lo dimostra drammaticamente.”.
Si parla di anonimato o di “sostituzione di persona”? E… l’indirizzo IP della persona che si è “finta minorenne” non è forse sufficiente a consentirne l’individuazione?
Occorre tenere ben distinti i concetti di “irrintracciabilità” e “anonimato”.
Evidentemente il concetto di anonimato descritto dall’on. Carlucci nel suo blog non è lo stesso concetto di “anonimato” al quale ho pensato leggendo la norma. Invero la norma, così come è posta, ha un ventaglio applicativo estremamente ampio. Tanto ampio da coprire anche condotte, di per sé stesse, del tutto lecite.
Cosa significa che non si può introdurre in rete un contenuto in forma anonima?
Che i navigatori saranno dotati di una carta d’indentità elettronica da esibire a ogni piè sospinto? Oppure sarà vietato utilizzare anonymizer, TOR o, in genere, la cifratura dei dati? E tale divieto di navigare in modo anonimo in rete da quale tipo di sanzione è sostenuto? Se navigo in modalità anonima sarò per ciò stesso punibile?
Ebbene personalmente non riesco a attribuire un senso, da un punto di vista “tecnico-informatico”, a questa disposizione.
Sarebbe necessario che il Legislatore, prima di approntare norme di scarsa utilità pratica e di impossibile realizzazione tecnica, si avvicinasse meglio all’ambiente che intende “regolamentare”. A tal punto saluto con favore l’iniziativa dell’Istituto per le Politiche dell’Innovazione tesa a fornire ai nostri politici il sostegno di alcuni tra i massimi esperti nazionali in ambito ICT, mediante una serie di seminari programmati (Rif. http://internetperparlamentari.org).
Quale è secondo lei lo scopo reale di questo DDL?
Si tratta evidentemente di un’ulteriore tentativo di introdurre un rafforzamento della tutela dei diritti di “proprietà intellettuale” nell’incuranza di diritti che meriterebbero maggior rispetto. E ciò è comprensibile anche a sol considerare le parole del “padre morale” della legge (come correttamente segnalato da Guido Scorza), ovvero da Davide Rossi, presidente di Univideo, il quale, nel recente incontro tenutosi a Roma (15 gennaio 2009) ha manifestato il suo pensiero: “personalmente penso che internet non serva all’umanità” (si veda http://www.youtube.com/watch?v=3HabNofBVNo).
Ebbene penso che si stia compiendo uno sbilanciamento nella scala degli interessi costituzionalmente rilevanti. Alcuni interessi stanno ricevendo una tutela maggiore di quella che, invece, spetterebbe loro.
Inoltre pare l’ennesimo provvedimento propagandistico volto a far breccia sull’opinione pubblica, piuttosto che soddisfare una effettiva esigenza normativa, peraltro già coperta da vigenti norme specifiche.
E’ bene che i politici si interroghino sulla reale necessità di questo “impianto” normativo.
Serve davvero una legge come quella proposta dall’Onorevole Carlucci per fermare un movimento come quello della pedofilia?
No. Le leggi per combattere la pedopornografia esistono già nel nostro codice penale. E sono ampiamente applicabili – ovviamente – anche nelle ipotesi in cui lo scambio o il download del materiale illecito avvenga tramite la rete internet.
E’ sconfortante per un giurista trovarsi ad aver a che fare con norme scritte male e non coordinate con le norme già esistenti nell’Ordinamento.
Mi domando, ad esempio, che senso abbia una norma (art. 2 comma IV del ddl) che “in relazione alle violazioni concernenti le norme a tutela del Diritto d’Autore” (si noti l’enfasi data dal maiuscolo, ndr.) preveda che si applichino “senza alcuna eccezione le norme previste dalla Legge 633/41 e successive modificazioni”. Non ha alcun senso. E non modifica, di certo, la forza normativa della L. 633/41.
Cosa sfugge ai molti che invece non ritengono per nulla pericolosa questa nuova legge?
Oltre a tutte le implicazioni in termini di perdita di libertà della riservatezza dei milioni di onesti navigatori in rete, sfugge anche una frase che Cesare Beccaria, nel suo “Dei delitti e delle pene” attribuisce al Montesquieu: “Ogni pena che non derivi dall’assoluta necessità è tirannica”
Quali sono secondo lei gli aspetti che dovrebbero essere considerati nella stesura di una legge simile?
Riterrei che una legge simile non debba mai nascere. In primis perché non aggiunge all’Ordinamento alcuno strumento per la repressione dei reati che già non esista, in secondo luogo perché introduce un divieto che ha come contraltare la possibilità che si concretizzi il “controllo dei contenuti”, e, non ultimo, forme di censura preventiva e fortemente lesive del diritto alla riservatezza dei consociati.
Mi piace richiamare un brillante testo del Prof. Stefano Rodotà – una vera colonna portante in materia – secondo il quale “la pedofilia non è sicuramente una questione da prendere sotto gamba, ma ciò che turba è che è diventata l’occasione o il pretesto per far nascere forme di censura e di controllo di comportamenti individuali, che non è detto che siano necessariamente pericolosi. E quindi certamente questa può essere una strada per restringere la libertà su Internet” (http://www.repubblica.it/online/internet/mediamente/rodota/rodota.html).
E’ giustificato a suo avviso il “rumore” nella rete che ha “paura” di una legge che possa diventare “censura assoluta”?
Assolutamente si. Sono perfettamente d’accordo con il Prof. Rodotà che ho appena citato.
Un presupposto sbagliato crea leggi inique!
23 03 2009Grazie a GliEletti.it per il video…
Non ci si aspetterebbe una simile dichiarazione da chi ha fatto anche una proposta di legge in materia “Internettiana”.
Per la Carlucci Internet è un territorio assolutamente libero e privo di regole. E questo è un errore grossolano. Anche perché l’esempio preso dalla Carlucci – quello della diffamazione online – non calza assolutamente.
Probabilmente avrà letto en passant dell’ultima sentenza della Cassazione su blog e stampa (Link alla sentenza), e casomai si è lasciata trarre in errore da qualche titolo enfatico tipo “i blog non possono essere accostati alla stampa” o simili.
Vediamo insieme, ad esempio, cosa dice l’art. 595 del codice penale.
Concentriamo l’attenzione sul terzo comma. Il “qualsiasi altro mezzo di pubblicità” non si riferisce, ovviamente, alla reclame o agli spot… Altro mezzo di pubblicità è, ad esempio, proprio Internet!
Ecco allora che la “legge dello Stato” prevede già una sanzione penale (equiparata a quella prevista per la diffamazione a mezzo stampa) anche per le diffamazioni commesse a mezzo tv, a mezzo radio… ed anche a MEZZO INTERNET!! E non è certo una scoperta.
Lettura consigliata: Cassazione penale, Sezione V, sentenza n. 31392 del 1 luglio 2008.
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